martedì 6 novembre 2012

"Storia di Iqbal" di Francesco D'Adamo

Questo libro per ragazzi è arrivato tra le mie mani quasi per caso: in uno dei miei tanti transiti dalla stazione di Parma, svettava tra i libri ammucchiati e un po' impolverati. Conoscevo già in parte la storia di Iqbal Masiq, ragazzino pakistano che ha guidato una rivolta sindacale per dare umanità al lavoro di tanti schiavi in Pakistan, ucciso dalla mafia dei tappeti. Il libro ha come voce narrante una bambina, Fatima, che lavora in un laboratorio di tappeti: un giorno arriva questo ragazzino di nome Iqbal che pian pianino, con la sua ribellione, fa prendere coscienza della situazione di piccoli schiavi che Fatima e gli altri vivono.
Iqbal, aiutato da Eshan Kahn, fondatore di un movimento di liberazione dei bambini maltrattati, riesce a liberare i propri compagni e continua la sua attività sindacale tra rischi e pericoli finché, il giorno di Pasqua del 1995, viene ucciso all'età di 15 anni.
Qualcuno potrebbe dire che forse un libro così triste non va bene per un ragazzino: a mio avviso è proprio questo che lo può stimolare in una riflessione educativa che possa formarlo alla cittadinanza.

Giudizio personale:
Dato il target al quale è rivolto ha una scrittura narrativa semplice e lineare; la voce narrante è dolce, ingenua, lucida: analizza ex-post degli avvenimenti che sul momento non poteva vedere nella loro pienezza. Consiglio la lettura anche a chi non conosce nulla di Iqbal e vuole, senza impegno, capire chi è e cosa ha fatto. Per ragazzi.

Citazioni:
- Sai contare? - mi aveva chiesto il padrone.
- Quasi fino a dieci, - avevo risposto.
- Guarda, - mi aveva detto Hussain Kahn, - questo è il tuo debito. Oni segno è una rupia. Io ti darò una rupia per ogni giorno di lavoro. E' giusto. Nessuno ti pagherebbe di più. Tutti possono dirtelo. Chiedi a chi vuoi: tutti ti diranno che Hussain Kahn è un padrone buono e giusto. Avrai quello che ti spetta. E ogni giorno, al tramonto, io cancellerò uno di questi segni, davanti ai tuoi occhi, e tu potrai essere orgogliosa, e anche i tuoi genitori saranno orgogliosi, perché sarà il frutto del tuo lavoro. Hai capito?
- Sissignore, - avevo risposto un'altra volta, ma non era vero, non avevo capito e guardavo quesi segni misteriosi, fitti come gli alberi di una foresta, e non riuscivo a distinguere il mio nome dal debito, quasi fossero la stessa cosa (p. 21)
Eshan  Kahn era proprio come lo aveva descritto Iqbal, vedendolo quel giorno sulla piazza del mercato: un uomo alto, non robusto, ma che riusciva a dare un'impressione di forza e di determinazione. Aveva capelli e barba neri e ben curati e vestiva sempre di un bianco immacolato. Da anni, ormai, aveva dedicato la sua vita a liberare i bambini schiavi. Era stato minacciato, picchiato, incarcerato. E ogni volta aveva ricominciato, con ancora più entusiasmo e caparbietà. (p. 105)

Finito il lavoro sedevo davanti alla porta di casa a guardare il viottolo che portava al viallaggio. "Mi hanno dimenticata", pensavo. Pensavo agli aquiloni, a Iqbal dritto in piedi accanto al tappeto tagliato, a quella notte che avevamo strisciato fino alla Tomba per aiutarlo, a quel pomeriggio al cinema a Lahore. Pensavo che non volevo andare in un paese straniero, brutto e lontano (p. 142)
 Edizione utilizzata: 
 Francesco D'Adamo, Storia di Iqbal, Edizioni EL, San Dorligo della Valle (Trieste) 2001

Dove si può trovare il libro:
Non dovrebbe essere difficile trovarlo in libreria (ecco i dati completi dal sito di EL) o, in alternativa, su IBS, su BOL e Amazon (in edizione Einaudi) o usato su ilLibraccio.it.

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