sabato 28 aprile 2018

I favolosi anni ’85 di Simone Costa

La radio è il medium che più di tutti utilizza e valorizza la forza della parola. I dialoghi, la musica, il ritmo accompagnano l’ascoltatore in un percorso dentro se stesso. Simone Costa ne “I favolosi anni ‘85” ci racconta di Marco, un autore radiofonico con una storia fatta di ricordi e di delusioni, di soddisfazioni fatue e illusioni che minano la sua autostima. Il contraltare di Marco è Irene, una creativa in carriera che perde la capacità di ascoltare e con essa la capacità di ascoltarsi. Come in un vortice a imbuto, le due storie scendono piano piano verso il buio della disperazione e solo attraverso la radio e la forza della parola entrambi i protagonisti possono trovare un barlume di salvezza. Costa costruisce un racconto intenso, le parole e le descrizioni si susseguono in una armonia che evoca il sentimento dei ricordi: la nostalgia. La nostalgia, un tema onnipresente nella trama del libro, diventa così condanna e cura, esaltazione e umiliazione, donando a tutto il testo un sapore malinconico che lascia qualcosa di sospeso in bocca. Un libro da leggere con il cuore, un testo con un finale aperto.

Giudizio: imperdibile

Se fosse cibo:
Cosa c’è di più nostalgico di una banana split?

Racchiuso in una frase:

Il solco scavato dalla convinzione che potessero credere a quella finta panacea, che la fine di cose come religione, confini nazionali, proprietà non significasse l’apertura di un vuoto ancora peggiore sul quale edificare a fatica, strappando all’angoscia millimetro dopo millimetro, qualcosa da tenere tra le mani tremanti, lo faceva sentire sconfitto prima ancora di giocare ogni tipo di partita. (p. 132)

Edizione utilizzata:
Simone COSTA, I favolosi anni ’85, Spartaco, Santa Maria Capua Vetere 2017.

Dove trovare il libro:
E’ facilmente reperibile sui maggiori e-commerce italiani (ibs.it, lafeltrinelli.it).

mercoledì 18 aprile 2018

Il buio in sala di Leo Ortolani

Leo Ortolani è uno dei più prolifici fumettisti italiani contemporanei. Graffiante, sarcastico, dissacrante, l’autore parmigiano è conosciuto per il suo personaggio “Rat Man”, una serie che per anni ha allietato i ragazzi di tutte le età. Ne “Il buio in sala”, Ortolani ci mostra la sua anima nerd, raccogliendo una quarantina di recensioni pubblicate sul suo blog di film relative a pellicole uscite negli ultimi anni. Il genere cinematografico maggiormente analizzato è quello legato al mondo dei fumetti o al classico immaginario nerd alla Star Wars. Ne viene fuori un’enciclopedia a fumetti divertente, che mostra il punto di vista di un appassionato di cinema, che ha fatto del fumetto il suo mestiere e le cui critiche strappano tante risate al punto che... tutto il treno si girava a guardarmi! Le prefazioni di Alessandro Apreda, Giacomo Bevilacqua, Roberto Recchioni e Zerocalcare arricchiscono la raccolta. È un libro per appassionati, un libro per ridere e canzonare un po’ i nerd che ci circondano (e che forse siamo un po’ anche noi...).

Giudizio: consigliato

Se fosse cibo:
in un cinema cosa si può sgranocchiare? ovviamente pop corn e coca (rigorosamente zero).

Racchiuso in una frase:

E la chiudo così, che sembra anche che abbia detto qualcosa di veramente importante, non vorrei rovinarlo von una frase a effetto tipo "io non sono un amante del cinema. Io sono il marito". (p. 6)

Edizione utilizzata:
Leo ORTOLANI, Il buio in sala, BAO, Milano 2017.

Dove trovare il libro:
E’ facilmente reperibile sui maggiori e-commerce italiani (mondadoristore.it, ibs.it).

lunedì 16 aprile 2018

L'ultimo saluto di Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle

Leggere i racconti di Sherlock Holmes è come fare un viaggio: nel tempo, in un passato tanto lontano quanto ancora familiare; nello spazio, in una Londra e in un’Inghilterra che ancora oggi ci parlano, con i nomi delle strade e i luoghi ormai scolpiti nel nostro immaginario; nello stile di quel giallo senza tempo che Conan Doyle è riuscito a costruire. La raccolta di racconti “L’ultimo saluto di Sherlock Holmes” è questo e molto altro. Tra misteri e intuizioni, il detective inglese, accompagnato dall’immancabile narratore dottor Watson, ci svela segreti e misteri, ricordandoci che il tutto lo si può svelare solo se si parte dal particolare. Un grande classico imperdibile per gli amanti del genere!

Giudizio: imperdibile

Se fosse cibo:
Biscotti al burro che rappresentino la sagoma di Sherlock Holmes!

Racchiuso in una frase:

Nell'annotare di tanto in tanto alcune delle singolari esperienze e dei piacevoli ricordi che si collegano alla mia duratura e sincera amicizia con Sherlock Holmes, mi sono sempre trovato a dover far fronte alle difficoltà provocate dalla sua fortissima avversione contro ogni forma di pubblicità. Il suo carattere ombroso e cinico nutrì sempre il più profondo disprezzo nei confronti dell'approvazione popolare, e nulla lo compiaceva maggiormente, al termine di un'inchiesta andata a buon fine, di attribuire tutto il merito del successo a qualche funzionario obbediente, e ascoltare con un sorriso ironico la voce delle mal riposte congratulazioni.  (p. 91)

Edizione utilizzata:
Arthur CONAN DOYLE, L'ultimo saluto di Sherlock Holmes, Rusconi, Santarcangelo di Romagna (RN) 2011.

Dove trovare il libro:
E’ facilmente reperibile sui maggiori e-commerce italiani (mondadoristore.it, ibs.it) nelle bancarelle online dell’usato (www.comprovendolibri.it, www.abebooks.it)

martedì 10 aprile 2018

Benito Stirpe - Frosinone 2 dicembre 2017

di Pier Giorgio Serra

‘Dottore, sono malato!’
‘Mi dica pure, di cosa soffre, figliolo?’
‘Ho la pareggite!’
Beh, più o meno io la immagino così la conversazione tra il Frosinone e il gioco del calcio.
È il quarto pareggio consecutivo quello di ieri per i canarini, il nono in campionato. Voglio raccontarvi della mia esperienza allo stadio Benito Stirpe, dove sono andato a vedere un match semplice sulla carta per i ciociari, ma che si è rivelato più ostico di quanto si pensasse: Frosinone – Cesena.
Hanno ragione quelli che vi dicono: ‘State accorti nel portare i bambini allo stadio, è pericoloso, vi fate solamente male!’. Ed hanno ragione, per la miseria! Ero talmente vicino al campo che un attimo di distrazione è stato fatale. Mi giro per controllare il posto a sedere e mi arriva una pallonata di striscio in faccia da parte di Cacia. Sono degli animali nel mondo del calcio, incivili! Nemmeno mi ha chiesto scusa…
Siamo seduti in curva nord, settore C, sesta fila (in realtà avevamo la prima, ma dai – siamo Italiani – nessuno si siede veramente nel posto assegnato in curva), esattamente dietro la porta, a un’altezza perfetta per ammirare lo spettacolo. Sono talmente vicino che sento Bardi (portiere frusinate) imprecare e dirigere la difesa. Seggiolino scomodo il giusto, Serie cadetta, temperatura vicina ai 5 gradi, pioggerellina. Il clima giusto per starsene a casa al calduccio, davanti al fuoco e con una tazza di the, copertina tattica, poltrona e maratona di Serie B (prepartita con Diletta Leotta), Bundesliga, Premier, Liga, anche lo Zecchino d’Oro se avete marmocchi al seguito che giocano con il vostro telecomando e che voi non riuscite a persuadere che un qualsiasi Benevento-SPAL sia più interessante del coro dell’Antoniano. E invece no, sono in questo nuovo gioiellino, terminato da qualche mese per ospitare le partite del Frosinone Calcio e pergodermi un rocambolesco 3-3 tra la  squadra ciociara e i cavallucci marini bianconeri.
È un peccato che non ci sia il pubblico delle grandi occasioni, ma il calore non tarda a farsi sentire, sia dalla curva nord casalinga ma anche dai circa cinquanta tifosi romagnoli che hanno sostenuto ininterrottamente la propria squadra con cori, bandiere e tamburi. Sono proprio questi ultimi a festeggiare con il primo goal di giornata al 17’. In seguito a un inserimento di testa di Laribi su cross di Kupisz, niente può fare Bardi che poco prima era stato miracoloso, sempre in seguito a un colpo di testa da distanza ravvicinata. Ma concentriamoci su Kupisz, il protagonista di giornata, croce e delizia. E già, Kupisz, ah, il vecchio Kupisz, il caro vecchio Kupisz… ah raga’, ma chi diavolo è Kupisz?!? Faccia d’angelo, aizzatore di proteste, nome impronunciabile, in poche parole l’eroe che meritiamo ma di cui adesso non abbiamo bisogno. Uomo assist nel primo goal, intervento osceno nel pareggio quando rinvia male, al 20’, sui piedi di Beghetto (che al momento di dover urlare il suo nome insieme allo speaker ho continuato a ripetere impunito ‘ha segnato, con il numero 11, Andreaaaa SEGHETTOOOOO’. Raga’, ero convinto, l’avrò ripetuto sei volte. E niente, breve storia triste) e rosso diretto, con conseguente rigore, per una manata in faccia a gioco lontano nei confronti del nostro amico ‘Seghetto’. Dal dischetto va Dionisi, che al minuto 35’ trasforma il rigore e
realizza il primo goal al Benito Stirpe e chiude il secondo tempo sul 2-2. Già, vero, piccola dimenticanza, il Cesena aveva visto il secondo vantaggio sempre con Laribi, l’uomo delle doppiette, quarto goal in campionato e secondo bis messo a segno dopo la doppietta di Perugia. Il primo tempo si conclude con molte proteste e nervosismo, da entrambe le parti, ma non sugli spalti, o almeno non per i signori dietro di me, tifosi navigati e nostalgici del calcio passato, nonché grandi esperti del calcio presente. Sto ancora ridendo pensando quando, all’ennesimo possesso inconcludente del Frosinone e all’improduttività di Ciofani, uno si gira verso gli altri e fa: “Eh, non ci stanno più gli Schillaci di una volta…”. Per non parlare dell’accurata riflessione sul big match di Serie A di venerdì sera: “Mbè, sto Napoli, ma se togli Insigne e fai giocà Wewe (Ounas) ma quando ci segni contro la Juventus!?”. Il secondo tempo si apre come si era concluso il primo: grande nervosismo, Cacia viene espulso in panchina (ti sta bene, la prossima volta impari a colpirmi in faccia senza chiedermi scusa!) e manovra lenta da parte del Frosinone, nonostante la presenza dell’uomo in più. Ma la partita cambia nuovamente: al 32’ Matteo Ciofani assiste suo fratello Daniel in area, salvataggio miracoloso dell’estremo difensore Fulignati, ma sulla respinta arriva la stilettata rasoterra di Soddimo che si insacca nell’angolino basso. Lo Stirpe esplode, ci siamo, è fatta! Sì, come no. Al 39’ Jallow, MVP dal mio punta di vista, che ha fatto a sportellate per tutta la partita coprendo il reparto da solo e ha macinato chilometri in lungo e in largo, si libera di due difensori gialloblu e tira una mozzarella che però riesce a beffare Bardi. Curioso l’atteggiamento del portiere canarino che dopo il goal, invece di pensare alla partita, comincia a programmare un’uscita fuoriporta con suo zio, per vedere non so che orto all’interno di un bioparco mentre indossano la gonna. Evento alquanto insolito ed affascinante, oserei dire. La partita si chiude, due punti persi dal Frosinone che aveva una paura matta di vincere, ma un punto fondamentale guadagnato in chiave salvezza dal Cesena, che non voleva perdere a nessun costo.
Vedere le partite al Benito Stirpe di Frosinone è un piacere per gli occhi, soprattutto per chi, come me, fino a sabato era abituato alla lontananza dell’Olimpico di Roma. Lo spazio attorno all’impianto è escluso al traffico, a meno che tu non abbia pagato un abbonamento annuale per poter parcheggiare proprio a ridosso dello Stirpe. Poco importa, con un euro ci sono navette che ti conducono dai parcheggi predisposti al pubblico allo stadio, niente di più comodo ed efficiente. Internamente lo stadio è notevole, con seggiolini colorati e una distanza massima dal campo di circa due metri che garantiscono una vista ottima da ogni posizione e consentono di creare quell’ ‘effetto bolgia’ che in molti casi riesce a spingere la palla in porta e portare la squadra di casa al successo. Fuori c’è molto da lavorare, non si sente ancora quell’odore di unto e fritto proprio del sano clima calcistico. Una birra locale 0,3 – devo dire buona – ha un costo di 4 euro.
Ripensandoci, in questo periodo, vi consiglio piuttosto un bel the caldo, in vendita al baretto dello stadio: tempra gli animi e riscalda i sederi nelle fredde partite invernali. Si dovrebbe puntare maggiormente sul merchandising e valorizzare un piccolo gioiello che da pochi viene compreso. Per concludere, posso solo invitarvi ad andare allo stadio, a frequentarlo con la passione e l’entusiasmo che merita, a supportare i propri colori e vedere i propri ‘eroi’ da vicino. Come disse Gianni Brera, in alto le bandiere e i canti per la passione di uno sport che fa tornare bambini.

lunedì 9 aprile 2018

Il gran ghetto di Stefano Nardella e Vincenzo Bizzarri

Quella raccontata nella graphic novel di Nardella e Bizzarri non è una storia di fantasia, non è una storia sul buonismo, come amerebbe dire un noto leader politico italiano. È una storia vera, simile a mille altre storie vere, di una baraccopoli sorta proprio nel cuore del Tavoliere delle Puglie, dei protagonisti e dei diritti negati. “Il gran ghetto” porta il lettore in una realtà che forse immaginiamo sia nella storia: il capolarato, le lotte di Giuseppe Di Vittorio, l’emancipazione della classe contadina. Eppure il ghetto è oggi, è lì, sotto i nostri occhi, nel nostro piatto di pasta asciutta. Per non dimenticare e per cercare di aprire gli occhi sulle ingiustizie.

Giudizio: imperdibile

Se fosse cibo:
Un piatto di bruschetta col pomodoro fresco raccolto nei campi dove non si fa uso di manodopera irregolare

Racchiuso in una frase:

Quello di cui abbiamo bisogno è di essere messi in regola, di essere pagati bene. Di avere gli stessi diritti degli italiani. Perché, che gli piaccia o no, oggi condividiamo la stessa terra. Ma, alla fine, i giornalisti se ne vanno... cominvia una nuova stagione dei pomodori... e noi ritorniamo ad essere un paesaggio invisibile. (pp. 44-46)

Edizione utilizzata:
Stefano NARDELLA Vincenzo BIZZARRI, Il gran ghetto, Hazard (edizione speciale per la Gazzetta del Mezzogiorno), Milano 2017.

Dove trovare il libro:
E’ facilmente reperibile sui maggiori e-commerce italiani (ibs.it, mondadoristore.it, lafeltrinelli.it).

venerdì 6 aprile 2018

Matrimonio siriano di Laura Tangherlini

Devo essere sincero: quando ho iniziato a leggere “Matrimonio siriano”, mi ha lasciato un po’ perplesso la forte autobiograficità della storia. Man mano che la lettura procedeva, e si aggiungevano nuovi personaggi al quadro del racconto, il libro di Laura Tangherlini si è come trasformato per me nella fiumana di gente rappresentata ne “Il quarto stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Giornalista della Rai, la Tangherlini mette a nudo se stessa con questo testo, toccando - e facendo in qualche  modo toccare anche a noi - con mano le persone che incontra nelle visite ai campi profughi siriani in Libano e Turchia. Partendo dal matrimonio di Laura con Marco, la vicenda si dipana coinvolgendo tutta la vita di una sposa che vuole condividere il giorno più bello della propria vita con un popolo martoriato ed esule. È una storia personale e collettiva, piena di spunti e di informazioni, che non vuole semplificare ma ci mostra la realtà così com’è. Non è una cronaca asettica, ma partecipata e coinvolta. Un’opera utile per scoprire l’attuale situazione dei siriani. Al libro cartaceo è abbinato anche un docufilm, con le immagini girate dall’autrice del libro e le musiche composte ed eseguite dal suo sposo.

Giudizio: imperdibile

Se fosse cibo:
Ujje' baqdounes, piatto siriano pasquale composto da frittatine di uova, prezzemolo, menta, cipolle e aglio.

Racchiuso in una frase:

[Mo' men] c'è un sogno che vorresti realizzare? "Voglio diventare un professore di arabo e insegnare ai bambini, ma in Siria, perché qui la vita non è bella come era a Yarmouk" A tuo padre volevi bene? "Si, tanto". Cosa ti ricordi di lui? "Ci comprava i dolci, i giocattoli, i vestiti. Tanti vestiti. E basta". (p. 126)

Edizione utilizzata:
Laura TANGHERLINI, Matrimonio siriano, Infinito, Formigine 2017.

Dove trovare il libro:
E’ facilmente reperibile sui maggiori e-commerce italiani (ibs.it , lafeltrinelli.it).

Recensione pubblicata su ilmegafono.eu