Ho avuto modo di leggere, nelle ultime settimane, uno dopo l'altro, due libri ambientati a Gerusalemme dopo la nascita dello Stato d'Israele e la Nakba palestinese.
Il primo è il romanzo "Giuda", dello scrittore israeliano Amos Oz. Racconta la storia di un giovane israeliano che per una stagione presta servizio in casa di un anziano signore a cui fa compagnia. La sua storia personale - e la sua ricerca universitaria sulla figura di Gesù e sul ruolo di Giuda e degli ebrei nella morte di Cristo - si intrecciano con quella degli abitanti - presenti e passati - della casa in cui vive e lavora.
Il secondo, opera dell'architetta palestinese Suad Amiry, si intitola "Golda ha dormito qui" e raccoglie le storie di alcune famiglie palestinesi costrette a lasciare la propria casa dopo la guerra del 1948 e la conseguente divisione in due parti di Gerusalemme tra Israele e Regno di Giordania.
Due punti di vista, politici e geografici su una città dalla storia ultra millenaria, ma che negli ultimi settant'anni ha visto un'accelerazione spasmodica di contese e cambiamenti. I nomi dei luoghi, delle strade, dei monumenti parlano in continuazione a chi ha vissuto a Gerusalemme e ne sente la nostalgia, nonostante i suoi mille contrasti e la poco velata indifferenza - per non dire ostilità - dei
suoi abitanti.
Due case - o comunque due visioni della casa - si confrontano idealmente nei due testi, in cui la casa rappresenta
inevitabilmente l'anima di chi la abita o l'ha abitata. Nel libro di Oz, i ricordi del defunto proprietario Abrabanel, politico israeliano isolato dal suo Paese e dai suoi colleghi per le tesi a favore della convivenza con i palestinesi, caricano di malinconia i muri e io mobilio vecchio e impolverato di una abitazione signorile di Gerusalemme Ovest. Tra le pagine della Amiry, la perdita e il vano tentativo di tornare nella propria casa natale, da parte di varie famiglie palestinesi, ha il sapore di una lotta per la giustizia e i ricordi dei protagonisti hanno colori vividi e brillanti, nonostante la lontananza dall'"oggetto" del loro desiderio. Queste due concezioni della casa evocano inevitabilmente la disputa sulla terra, in un territorio in cui ancora oggi, a quasi settant'anni dalla prima guerra arabo-israeliana, nel 1948, una soluzione efficace contemporaneamente per il popolo israeliano e per quello palestinese sembra inimmaginabile.
Le due culture differenti che si scorgono leggendo i due testi sono meno lontane e incompatibili di quanto l'eterno conflitto israelo-palestinese farebbe pensare. E poi, la Gerusalemme "centro del mondo" e cuore del Medio Oriente che viene dipinta non è tanto lontana dall'Occidente, né per il livello intellettuale né per il rapporto con le innovazioni tecnico-scientifiche. Bisogna infatti superare il luogo comune di una supposta arretratezza mediorientale: l'attaccamento a identità e tradizioni religiose e culturali sono parte integrante di un luogo complesso come Gerusalemme. Ciò nondimeno, oggi come negli ultimi settant'anni, la gente comune vive in maniera molto simile agli europei, e in parte anche agli americani.
Se una storia o un romanzo inevitabilmente offre un punto di vista parziale, la lettura quasi consecutiva di questi due racconti offre - a mio avviso - la possibilità di avere uno sguardo più ampio e di cogliere insieme problematiche generali e dettagli sempre nuovi di un mondo complesso e che mentre cerca di rimanere ancorato a uno status quo si rivela un continua evoluzione.
(recensione di Ada Serra)
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